Published on 9/5/2017
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Sinterizzazione in vuoto: la guida passo passo [3/4]

Sinterizzazione in vuoto: la guida passo passo [3/4]

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Eccoci alla terza parte dell'articolo sulla sinterizzazione in vuoto. La prima parte dell'articolo ha fornito descrizioni sulle due fasi di lavorazione, quali deceratura e sinterizzazione. Nella seconda parte, invece, ci siamo focalizzati principalmente sui forni da sinterizzazione trattando diversi aspetti, quali camera termica, flusso del gas e operazioni di carico/scarico. Ora, andremo ad analizzare gli aspetti che riguardano la rimozione del legante (binder).

Come rimuovere il legante: bruciare o intrappolare?

Premesso che il binder (legante) che proviene dai pezzi deve uscire dal forno, resta la scelta tra bruciarlo o intrappolarlo in un condensatore.

Un primo criterio di scelta (forzata) è considerare se il processo si svolge in pressione parziale (cioè inferiore alla pressione atmosferica) o in sovrapressione (cioè superiore alla pressione atmosferica). Nel primo caso, per estrarre il gas bisogna passare necessariamente dalle pompe e, siccome il binder deve essere rimosso prima di passare da queste, mentre il bruciatore può essere installato solo sullo scarico in atmosfera, ne consegue che intrappolare il binder nel condensatore è l’unica scelta praticamente fattibile.

Se invece la rimozione del legante viene fatto solo in sovrapressione, allora abbiamo veramente la possibilità di scegliere. In questo caso, la condensazione resta comunque in genere la scelta più semplice, in quanto funziona senza troppi problemi in un ampio range di portate di gas e di percentuale di binder. Lo svantaggio è che le sostanze intrappolate vanno comunque smaltite.

Nel caso in cui invece si voglia bruciare il binder, non intrappolarlo, si evitano le spese di smaltimento di rifiuti ma si apre un’altra serie di problemi. Innanzitutto bisogna evitare che il binder condensi prima di raggiungere il bruciatore, scaldando quindi la tubazione. Poi, bisogna considerare che il bruciatore consuma comunque combustibile, e oltre a questo richiede un dimensionamento che dipende fortemente dalla portata di gas e dalla percentuale di binder previste. Se la concentrazione di binder eccede significativamente quella ipotizzata, e questo può anche succedere molto semplicemente perché il ciclo è stato impostato per errore con una rampa troppo rapida ad una temperatura troppo elevata, la concentrazione di residui sullo scarico può anche raggiungere percentuali tali da dare luogo ad esplosioni.

In tutto questo, una cosa che vale la pena di chiarire è che quelle fiammelle che si vedono di solito sullo scarico di forni che usano gas combustibili (ad esempio idrogeno) come gas di processo, non sono originariamente studiate per bruciare i residui della dissociazione del binder in modo da abbattere le emissioni entro i limiti di legge, bensì unicamente per smaltire l’idrogeno scaricato in maniera sicura, evitando che si creino all’esterno del forno concentrazioni pericolose di atmosfera potenzialmente esplosiva.

Sappiamo che alcuni nostri stessi clienti hanno fatto misurazioni dalle quali risulta che quello scarico in alcuni casi è comunque a norma, e pertanto lo usano come mezzo di smaltimento, ma il costruttore di forni non è generalmente in grado di dare garanzie in merito. Il corretto impianto che si richiede per lo smaltimento termico dei residui di binder con garanzia di risultato è in realtà un inceneritore, ovvero una vera e propria camera di combustione, dotata di un volume dimensionato in base alla portata di gas, alla percentuale massima di residui di binder ed al tempo di permanenza necessario per l’ossidazione totale degli stessi, e di un bruciatore in grado di mantenere tale camera alla temperatura di reazione dimensionato in base alla dissipazione della camera ed alla portata di gas scaricato.

Supponendo che al punto precedente si sia scelto di intrappolare il legante nel condensatore, molti clienti ci chiedono come sia fatto il condensatore che proponiamo. La risposta corretta è: dipende dalla tipologia di leganti che usate! Ma vediamo, in generale, quali sono le caratteristiche di un buon condensatore.

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Il condensatore e le differenze tra residui liquidi e solidi

Per studiare un buon condensatore, è importante capire quali sono le caratteristiche del binder da condensare, tra cui la temperatura a cui liquefa e quella a cui (eventualmente) solidifica, oltre alla quantità massima prevista per ciclo e ogni quanti cicli si prevede di fare operazioni di pulizia.

La principale discriminante riguarda il fatto che i residui della dissociazione del binder nelle condizioni ambiente siano solidi, come nel caso dei binder basati su paraffina o simili, oppure liquidi, come nel caso del PEG (glicole polietilenico) o simili.

Nel caso di residui liquidi, la gestione è più facile: i due obiettivi principali del progetto sono di garantire un’ampia superficie di scambio raffreddata per condensare la maggior parte di binder possibile ed un percorso tutto in discesa che consenta al condensato di percolare verso un recipiente di raccolta che deve essere periodicamente svuotato. Questa procedura di pulizia è poi facilmente automatizzabile, per cui tutti i residui possono essere scaricati ad ogni ciclo verso una vasca di raccolta centrale senza richiedere nessun intervento da parte dell’operatore.

Se i residui liquidi possono essere accompagnati da alcune polveri, queste possono essere raccolte con dei filtri, tipo quelli a carta, a valle del condensatore.

Se però possono esserci dei condensati solidi, la gestione diventa molto più complessa. In primo luogo bisogna evitare che la condensazione inizi prima del condensatore vero e proprio. In caso contrario, i condensati potrebbero ostruire il tubo di scarico o interferire con il corretto funzionamento di eventuali valvole. A tale scopo, è necessario ricorrere a tubazioni di collegamento e valvole opportunamente riscaldati.

Tuttavia, anche raggiunta la trappola, bisogna comunque evitare passaggi troppo stretti, perché anche questi potrebbero essere ostruiti da depositi solidi, e questo limita sicuramente l’efficacia dello scambio termico. Fortunatamente, questo tipo di binder condensa facilmente anche senza bisogno di superfici particolarmente elevate o temperature particolarmente basse.

Si pone poi il problema della pulizia. Per i depositi solidi, solitamente ci sono due vie: la rimozione meccanica manuale o la liquefazione per riscaldamento della trappola. La seconda via ha il vantaggio di non richiedere manodopera, ma richiede comunque tempo e dispendio di energia. Nella nostra esperienza abbiamo visto che si può sfruttare lo scarso raffreddamento di cui questo tipo di binder necessita per realizzare trappole molto veloci da smontare e pulire, con riscontro positivo da parte dei nostri clienti.

Finora, spero di avervi fornito informazioni utili sui forni per sinterizzazione sottovuoto. Se non avete ancora letto il primo articolo su debinding e sinterizzazione o il secondo articolo sulle principali caratteristiche di un forno per sinterizzazioni in vuoto, affrettatevi a leggerli! Il quarto articolo arriverà molto presto con ulteriori approfondimenti!

Se avete domande, commenti o dubbi che riguardano la sinterizzazione in forni a vuoto, sarò più che felice di aiutarvi su questo argomento. Basta chiedere!

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